Vi siete mai chiesti che cosa leghi la Natura alla Matematica?

Vi siete mai chiesti che cosa leghi la Natura alla Matematica?

Tutto!  E in che modo? Con infinite, incredibili, meravigliose semplici leggi, che danno forma a ciò che ci circonda. Uno dei primi ad accorgersi dell’intimo legame tra le due cose fu Galileo Galilei, che disse: “Il libro della natura è scritto in caratteri matematici” ed è proprio così; le formule matematiche e geometriche regolano la Biologia, la Fisiologia e l’anatomia degli esseri viventi nel modo più vantaggioso possibile, dando forma all’evoluzione con codici sempre idonei.

Sin dall’antichità l’uomo comprese che i numeri e le forme avevano dei significati universali; Pitagora credeva che tutto fosse misurabile e, dunque, che tutto fosse legato ai numeri. Riteneva che essi fossero all’origine del Creato: motivavano l’esistenza del cosmo intero e davano i mezzi per comprenderlo.

Nel 300 a.C. Euclide affermò un principio fondamentale per la Geometria, diede la definizione di sezione aurea: una proporzione geometrica che sembrava rappresentare lo standard di riferimento per la perfezione, la grazia e l’armonia. Cerco di spiegarla ai non addetti: la sezione aurea è la parte di una linea (L) divisa in due parti diseguali. La sua lunghezza ha una proporzione matematica particolare rispetto alla parte di linea rimanente. Nello specifico la parte più corta (b) sta alla più lunga (a) come questa sta all’intero segmento, cioè b : a = a : L.

Un rettangolo è aureo se i suoi lati, maggiore e minore, sono in un rapporto aureo, portando alla formazione di infiniti altri rettangoli aurei a seguito della sottrazione dei quadrati costruiti sul loro lato minore. In questo modo viene fuori la stessa spirale logaritmica che regola il rapporto fra il lato maggiore e quello minore: a : b, è identico a quello fra il lato minore e il segmento ottenuto sottraendo quest’ultimo dal lato maggiore b : a-b (il che implica che entrambi i rapporti siano 1,618).

Bisogna attendere la fine del 1100 per ottenere altre spiegazioni sul rapporto tra Natura e Matematica e questo avviene ad opera di Leonardo Pisano, detto Fibonacci, che nacque a Pisa nel 1170. Il giovane studioso viaggiò molto e fu in Algeria che studiò presso i matematici arabi ed apprese l’attuale sistema numerico decimale, fondato sulle dieci cifre da 0 a 9.

Egli elaborò anche il metodo per eseguire le quattro operazioni matematiche di base, che tutt’oggi apprendiamo a scuola.

Fibonacci cercò di risolvere un enigma matematico basato sulla riproduzione dei conigli e lo fece attraverso una successione di numeri, immaginando che questi siano in grado di riprodursi a partire dal primo mese e ogni coppia di esemplari partorisca nel corso del secondo mese.

Insomma i primi due termini della successione matematica sono entrambi uguali a 1, mentre ogni termine dal terzo in poi è uguale alla somma dei due che lo precedono: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89,144, 233, 377, etc.

Riporto qui di seguito due esempi della sequenza facilmente riscontrabili nel mondo vegetale: la disposizione delle foglie lungo il ramo di una pianta e la distribuzione a spirale dei petali delle margherite e dei semi di girasole. Osservando il numero di elementi che si ripetono, generalmente ci si trova di fronte a numeri di Fibonacci ripetuti: 21 e 34 nelle margherite, 34 e 55 nell’ipnotizzante disco centrale dei girasoli, in cui si avvitano due spirali, una in senso orario e l’altra in senso antiorario, 5 e 8 nelle spirali delle pigne, 8 e 13 negli ananas, e così via.

Anche il famosissimo Nautilus, il mollusco cefalopode considerato un fossile vivente, perché è sopravvissuto identico a ben 520 milioni di anni di evoluzione, vede nella sua conchiglia la perfetta rappresentazione di una spirale logaritmica, ovvero una spirale che ripete all’infinito le proporzioni della sezione aurea, che come ho detto, è proprietà fondamentale per molti fenomeni di accrescimento naturale.

Potrei fare un numero pressoché illimitato di esempi, con ordini di grandezza che vanno dall’infinitamente piccolo delle molecole come le spirali del DNA e dell’RNA, che utilizza la struttura frattale della doppia elica, per comprimere nel minimo spazio grandi superfici, all’infinitamente grande, quali le galassie dell’universo, passando per eventi atmosferici e vortici marini.

Le spirali, inoltre, non danno solo la forma agli oggetti come le corna dell’ariete o alla disposizione delle spine delle piante grasse, ma regolano le traiettorie di locomozione di alcuni animali. Il Falco pellegrino, per esempio, avendo una visione laterale, massimizza la velocità di attacco in picchiata con una traiettoria a spirale che gli permette di tenere la testa dritta e di non perdere mai di vista la preda.

Le spirali sono anche alla base dei frattali, meravigliose figure geometriche la cui forma si ripete all’infinito su scale dimensionali diverse, come nel fiore del broccolo romanesco. Esistono frattali di ogni forma, anche con spigoli come i fiocchi di neve, o a punte di freccia come le felci. La Natura abbonda di forme dalle complesse simmetrie geometriche, basate su leggi matematiche, che attirano lo sguardo umano, come quella bilaterale, che caratterizza la quasi totalità del regno animale, noi compresi. Di grande bellezza la simmetria raggiata delle stelle marine e quella pentamera di molti fiori. Anche i vasi sanguigni, le fibre nervose, i polmoni e i bronchi, i villi e i microvilli intestinali si sviluppano grazie a modelli matematici precisi.

La Matematica è anche il linguaggio che sta alla base della Fisica, la branca della Scienza che studia e descrive in modo razionale i fenomeni naturali, così come è indispensabile per comprendere la Chimica. La luce si propaga nello spazio secondo curve frattali che possiamo vedere a occhio nudo, come nel caso delle scariche elettriche e dei fulmini. Una menzione a parte la meritano i cristalli, i prodotti più belli che la Matematica e la Chimica potessero partorire, ovvero forme geometriche definite, formate da atomi disposti in un reticolo ordinato e periodico.

In Geometria la sfera è una regina, poiché la sua figura è utilizzatissima dalla Natura in tutte le scale. Dimensionali: si va dai pianeti e vari altri corpi celesti, alle piccole spore e al polline, fino alla cellula più importante di tutte, l’ovulo.

Negli insetti si ritrovano spesso le leggi matematiche della Triangolazione di Delaunay e della Tassellatura di Voronoi. Queste formazioni geometriche sono perfettamente riconoscibili nelle magnifiche ali delle libellule ed in particolare alle loro nervature.

Se riteniamo che Pitagora avesse ragione, ciò che oggi consideriamo Caos, perché non ancora riportato a specifiche leggi, domani sarà ordine spiegato dall’ennesima formula matematica, elaborata da qualche visionario studioso.

Quando l’informatica aiuta il benessere psicologico

Quando l’informatica aiuta il benessere psicologico

La definizione di salute è contenuta nella costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ed  è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità. Ma il benessere non è solo quello psico-fisico della “mens sana in corpore sano”, nell’era dell’informatizzazione spinta, come è quella che stiamo vivendo, ritengo si debba parlare di “benessere organizzativo”; rubo l’espressione al professore di psicologia del lavoro Francesco Avallone, che lo definisce: “Il benessere organizzativo si riferisce alla capacità di un’organizzazione di promuovere e di mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione”. Mi aggancio a questa sua affermazione per parlare di individuazione di nuove strade e di soluzioni tecnologiche originali, a supporto del benessere organizzativo in ambito lavorativo.

Non sono originale nel dire come la pandemia abbia aumentato lo stress, l’ansia e il rischio di burnout sul posto di lavoro ovunque nel mondo, ma provo a pensare a come i “bot” potenziati dall’intelligenza artificiale invece delle sole persone, possano aiutare in questo senso.

È palese a tutti come molti trovino il lavoro da remoto più interessante ora, rispetto a prima della pandemia, perché hanno più tempo da trascorrere con la famiglia, perché possono riposare organizzando le incombenze e perché non hanno perdite di tempo e costi per raggiungere il luogo fisico dove svolgere il proprio compito, ma la scelta non è priva di controindicazioni.

Tutti abbiamo sentito più stanchezza e ansia sul lavoro quest’anno, rispetto a qualsiasi altro anno precedente e questo ha prodotto un impatto negativo sul benessere psicologico nella stragrande maggioranza della forza lavoro globale, causando più stress, sottolineando la mancanza di equilibrio tra lavoro e vita privata, andando incontro a sgradevoli burnout, a depressione per assenza di socializzazione e non sottovalutiamolo, solitudine. Le nuove pressioni subite a causa della situazione pandemica prima e della instabilità politica mondiale ora, si sovrappongono ai fattori di stress abituali legati al lavoro, tra cui la pressione per raggiungere i risultati, la gestione di attività noiose e di routine e il dover affrontare carichi di lavoro sentiti come ingestibili.

La mancanza di benessere al lavoro non compromette solo la vita professionale ma anche quella privata, sulla quale si genera una inevitabile ricaduta. La maggioranza dei lavoratori di certo pensa che i problemi di salute mentale e benessere psicofisico legati al lavoro (ad esempio stress, ansia e depressione) si riflettano su ogni aspetto del quotidiano. Sento sempre più spesso parlare tra i miei collaboratori e conoscenti di insonnia, cattiva salute fisica, riduzione della serenità domestica, con conseguente sofferenza nei rapporti familiari e scarsa frequentazione degli amici, anche perché molti di questi legati al lavoro in presenza. Per questi motivi ritengo che il datore di lavoro debba offrire maggiore supporto alla salute mentale dei collaboratori. Le conseguenze della crescita di ansia e stress da lavoro possono essere alleggerite con gli strumenti tecnologici a supporto del benessere organizzativo e della salute.

Penso ad esempio a servizi di accesso self-service alle risorse sanitarie, a servizi di consulenza su richiesta, a strumenti di monitoraggio della salute, all’accesso ad app per il benessere o la meditazione e chatbot per rispondere velocemente a domande relative a questi argomenti. Ho recentemente letto un’indagine svolta sui lavoratori da cui è emerso come questi preferirebbero parlare dello stress e dell’ansia con un robot piuttosto che con il proprio manager e l’80% di loro è propensa ad utilizzarlo come consulente o terapeuta. Questo perché le persone ritengono che l’Intelligenza Artificiale possa creare una “free zone”, una “zona priva di giudizio”, caratteristico di una mente umana e difficilmente eliminabile, che possa essere un interlocutore imparziale e che possa fornire risposte rapide su domande specifiche relative alla propria salute mentale, senza lasciare tracce sul curriculum lavorativo del dipendente o del collaboratore.

Ritengo che si debba lavorare in questo senso, perché un collaboratore soddisfatto e in buona salute è l’interlocutore ideale dell’imprenditore.

“Si vis pacem para bellum”

“Si vis pacem para bellum”

Se vuoi la pace, prepara la guerra” scriveva Flavio Vegezio Renato, studioso latino del primo secolo dopo Cristo. Da allora la citazione è stata spesso utilizzata negli studi politici (ad es. nel “Principe” di Machiavelli) e nelle relazioni internazionali, per affermare il principio della dissuasione, ovvero la costituzione di un apparato militare paragonabile a quello del nemico potenziale, come metodo di equilibrio tra le nazioni e di deterrenza dei conflitti.

Quello che è accaduto durante la Guerra Fredda ha dimostrato che una trattativa di pace ha successo e si raggiunge più facilmente un accordo se esiste una condizione di parità riguardo gli arsenali. In pratica quando le armi della diplomazia sono spuntate, l’ultima possibilità sembra mettere in mostra i muscoli e prepararsi ad uno scontro: se l’altra parte capisce il pericolo, probabilmente si raggiunge l’accordo. Questo va bene per scongiurare la guerra, ma la pace…?

Dobbiamo rassegnarci all’idea da molti condivisa che sia solo “la parentesi tra due guerre”? Quello che oggi stiamo vivendo è in realtà un fallimento della diplomazia internazionale e un tentativo di risolvere le questioni con la forza, ma rispetto al passato, perché questo scenario è visto e rivisto, il conflitto russo-ucraino ha caratteristiche mai riscontrate prima, che si discostano da tutti i codici comportamentali precedenti e gli studi fatti.  Di certo siamo in un contesto culturale diverso e di fronte alla prima guerra davvero “social”. Il coinvolgimento e la diffusione dei social media è ormai ad un tale livello, che sui marchingegni informatici di ognuno di noi, vecchi o giovani, utenti abituali o occasionali di Facebook o Instagram, si trova una quantità impressionante di materiale fresco, giunto direttamente dalle zone dal conflitto.

La prima cosa che mi viene da dire è che, poiché l’Ucraina è un paese occidentale, quasi tutti i suoi abitanti sono avvezzi all’uso dei social e quindi ognuno di essi è un Media, mentre in conflitti che si svolgono anche da anni in altre parti del mondo, i massacri ci sono ma non vengono divulgati, perché pochissimi hanno uno smartphone che documenti quello che succede. Ecco quindi immagini di città che molti di noi non conoscevano prima, riprese durante la loro distruzione, con video su Tik Tok o live su Facebook e Telegram, o migliaia di foto su Instagram. I social stanno altresì permettendo di aggirare la censura di Mosca, che ha chiuso praticamente molte testate giornalistiche, televisive e radiofoniche non allineate al regime e che mantengono accesa una luce di speranza in chi vuole davvero sapere che accade fuori e dentro il Paese. Su Telegram in particolare, sembra si stia combattendo una guerra parallela, con i due opposti schieramenti, che fanno largo uso di questo sistema di messaggistica più sicuro di WhatsApp, per comunicare gli spostamenti del nemico e dare notizie in tempo reale.

Contemporaneamente, quando proclamare la propria posizione può essere molto pericoloso, i social network sono la piazza dove esprimere le proprie idee e diventano un’arma di propaganda o contro-propaganda dal potere imprevisto, soprattutto per chi è ancora legato ai vecchi modelli novecenteschi di guerra. Ovvio che chi fornisce questo servizio è anche un protagonista dell’economia mondiale e deve rispondere delle sue politiche aziendali, in un momento in cui l’Occidente impone sanzioni molto severe alla Russia. Qui il vero conflitto è tra affari ed etica!!! Al di là delle questioni morali, la situazione è comunque inedita. A volte è la stessa modalità della testimonianza ad essere inopportuna, a causa dei codici espressivi dei Social, che rischiano di essere bizzarri, se non grotteschi, con le terribili immagini di bombardamenti, esodi, esecuzioni sommarie e fosse comuni: dolore, dolore, dolore, insomma. L’effetto è insolito, ma si sa che ogni generazione comunica con i codici che conosce e con gli strumenti che sa usare e che ha a disposizione. Inoltre va precisato che i Social usati da tutti in realtà hanno editori e proprietari che non sempre sono neutrali o dalla parte di chi scrive, vedi Tik Tok che è cinese, per cui le notizie e i filmati divulgati vanno visti con occhio critico. Questo perché i social, per quanto proclamino di essere soltanto dei distributori di contenuto e non degli editori, in realtà non lo sono quasi mai.

Si tratta di piattaforme che in realtà non sono libere, perché legate a logiche finanziarie e commerciali a causa dei costi e soprattutto dei profitti ingenti che producono e i cui algoritmi, suggerimenti e censure non sempre sono scevri da “selezioni e purghe” gradite alla politica. I nuovi paradigmi espressivi di questa guerra via social hanno le implicazioni di una comunicazione veicolata attraverso un colosso informatico con le sue logiche: si tratta di una nuova forma di giornalismo “dal basso”, fatto dai cittadini e non dai professionisti, o è solo un invito a continuare a cliccare? La domanda non è banale e richiede una attenta riflessione…

La coscienza artificiale

La coscienza artificiale

Ho letto qualche giorno fa la notizia di un episodio, che ritengo piuttosto grave, in cui un assistente vocale casalingo ha suggerito ad una bambina un’azione molto pericolosa: toccare con una moneta i poli di una spina della corrente inserita a metà. Colpevole è stata Alexa, l’assistente vocale tuttofare ormai presente in moltissime case; dopo l’accaduto Amazon ha aggiornato il software del suo device, per evitare che in futuro suggerisca sfide pericolose. Nel fatto citato l’intelligenza artificiale aveva proposto ad una bambina di provare la cosiddetta “penny challenge”, una sfida che consiste nell’inserire un carica batterie del telefono in una presa fino a metà e di toccare con una moneta i poli esposti. La bambina ha chiesto di partecipare ad una sfida che aveva trovato sul web e Alexa l’ha accontentata. Fortunatamente la madre si è accorta e ha impedito che accadesse qualcosa di grave, poiché i metalli conducono elettricità e inserirli in prese può causare incendi e folgorazioni mortali.

Perché ho riportato questo episodio? Perché i progressi in campo informatico stanno creando intelligenze artificiali sempre più performanti ma tra intelligenza e coscienza c’è un abisso. La discussione e le ipotesi sulla sua fattibilità hanno radici profonde, sin dal decennio 1940-1950, in cui un preveggente Isaac Asimov scrisse le 9 storie di “Io, robot”, una raccolta di racconti di fantascienza che ha per protagonisti dei robot positronici.

Nel libro la tematica principale è il timore che un giorno i robot, le macchine, possano sostituire l’uomo. L’autore esorcizza questa paura confidando nell’uomo che con la sua intelligenza, può fare molto di più ed è superiore ai robot. Con una lungimiranza quasi profetica, Asimov affermava con forza che l’uomo deve riuscire a mantenere questa superiorità e vivere la vita aiutato dai robot, ma solo in mansioni che questi possano svolgere senza dover prendere decisioni di tipo etico.

La mia domanda quindi è: un giorno i robot avranno una coscienza? E come la controlleremo? Dove porteranno le sperimentazioni sui circuiti ibridi fatti crescere su cellule nervose?

È un futuro intrigante, anzi inquietante, che ci fa dimenticare che la coscienza è un mistero per gli stessi esseri viventi, figuriamoci per una macchina. La capacità di sentire, di provare qualcosa, è riservata per ora agli organismi viventi dotati di un sistema nervoso complesso, perché essere coscienti vuol dire “sentire qualcosa”. Avere sensazioni prima fisiche, che diventano psichiche, vuol dire avere un sistema sensoriale e nervoso complessissimo, come solo quello umano rappresenta e per avere macchine che siano in grado di sentire, di elaborare ed esprimere risposte coscienti, sarà necessario un corpo che interagisca con l’ambiente e con altri simili.

L’efficienza delle interazioni di tipo sociale sarà ottenuta quando le intelligenze artificiali possiederanno una forma di coscienza fenomenica; provare qualche cosa e far diventare questo un modello, permetterà alle macchine di sentire gli altri e quindi immaginare i loro stati mentali. E quando questo avverrà, anche le interazioni sociali saranno diverse, perché non reagiranno semplicemente a quello che fa un’altra creatura ma la risposta sarà in virtù di comportamenti frutto di un’azione intenzionale: cioè che l’intelligenza artificiale prova e sente qualcosa: dolore, felicità, pensiero, convinzione, speranza.

Come non pensare al computer Al di “2001 Odissea nello spazio”, di Stanley Kubrick, in cui il computer di bordo dell’astronave uccide uno ad uno tutti i componenti dell’equipaggio, che si sono accorti di suoi comportamenti pensanti anomali?

Quando costruiremo macchine che capiscono che altre creature desiderano, allora sapremo che avranno evoluto la coscienza.

È un futuro entusiasmante ma che fa paura, noi informatici siamo abituati ad un meccanismo di causa effetto: programmiamo una macchina e gli insegniamo a fare delle cose, ma solo quelle e come conseguenza di un nostro input; qui si tratta di vedere agire macchine si costruite da noi, ma in grado, una volta create, di agire secondo una propria scelta, in base agli algoritmi di autoapprendimento sui quali si basano le applicazioni di Machine Learning.

Esperti di robotica hanno creato “macchine biologiche” in grado di riprodursi: gli xenobot capaci di comportarsi come semplicissimi organismi vitali: che siano gli antesignani di futuri organismi ibridi? Aspettiamo, considerando la velocità dei progressi in questo campo, dovrei riuscire a vederne i frutti.

In sintesi, qual è l’insegnamento che possiamo trarre da tutto ciò?

Che esiste un “effetto Matrix”, facendo riferimento alla popolare trilogia cinematografica? In effetti le cellule vivono una neuro-simulazione indotta da altri, quindi Matrix è una realtà a cui bisogna iniziare a credere sul serio?

Direi di no, perché nel caso di Matrix qualcuno dall’esterno ha creato la matrice e la realtà per gli esseri umani, per noi esseri umani reali, Matrix è semplicemente il risultato dei processi randomici della selezione naturale, perché tutto quello che sappiamo è frutto della raccolta dati di milioni di fibre nervose dall’ambiente circostante: calore, temperatura, pressione, dolore, piacere, che noi elaboriamo e traduciamo in azioni da inserire nel database dell’esperienza.

Volendo riferirmi ad una trilogia che amo molto: si, in un certo senso siamo già dentro Matrix, perché quando percepiamo qualcosa essa rappresenta la realtà ultima; l’immagine, la sensazione, l’emozione non sono altro che un’icona sullo schermo del mio computer mentale, quello che l’evoluzione di 500 milioni di anni ha prodotto affinché potessimo sopravvivere e continuare la specie. Quello che dovranno imparare a fare le macchine è esattamente questo. Ci riusciranno? Si! Quando? Non tra molto tempo ma auspico che dietro di esse resti sempre la nostra presenza e che la coscienza che li spinge ad agire sia la nostra, non la loro.

Quando l’informatica aiuta la scienza

Quando l’informatica aiuta la scienza

Siamo nell’epoca del complottismo spinto, spesso si sente parlare di vaccini che contengono microchip, farmaci attivabili dal 5G e tentativi da parte dell’Ordine Segreto Mondiale di gestire le nostre menti. Non è questa di certo la sede per discutere di queste amenità, che rappresentano la mancanza di buon senso e l’anti scienza e parliamo invece di cosa l’informatica può fare a sostegno della medicina. È di queste ultime settimane la notizia della sperimentazione di un microchip inserito nel cervello di una 38enne americana, Sarah, da qualche anno gravemente affetta da una forma severa di depressione che non ha risposto alle cure tradizionali e che ora pare stia bene. La fonte della notizia è seria, è stata pubblicata su Nature Medicine e parla della stimolazione cerebrale personalizzata; si tratta di una tecnologia che impianta nel cervello di pazienti affetti da depressione grave un microchip alimentato a batterie.

È una specie di “pacemaker” per il Sistema Nervoso Centrale, un dispositivo capace di individuare i processi schematici dell’attività neurale, che corrispondono ai picchi di emozioni negative del paziente; la loro intercettazione produce l’invio di impulsi elettrici che regolano la produzione dei neurotrasmettitori che causano la depressione.

Sarah ha avuto un netto e sostanziale miglioramento dei sintomi già dopo 12 giorni, con successiva e repentina remissione della malattia. La paziente ha dichiarato di aver vissuto un piacevole e duraturo cambiamento della sua visione del mondo, il dispositivo ha tenuto a bada la sua depressione, permettendole di tornare a prendere in mano la propria esistenza.

Il metodo della stimolazione profonda del cervello era già usato per trattare il morbo di Parkinson, ora si affacciano interessanti applicazioni ad altre malattie neurologiche e psichiatriche; certo il metodo va affinato e soprattutto reso personalizzabile, perché ogni esigenza è specifica ed ogni paziente un caso a sé.

I microchip impiantati nella donna sono stati inseriti in due diverse regioni del cervello dopo aver eseguito un’attenta mappatura dell’attività cerebrale attraverso indagini strumentali. Il suo encefalo è stato sottoposto ai diversi stimoli per individuare la sede idonea all’innesto e dopo l’inserimento del chip Sarah ha iniziato a ridere di gran gusto, cosa che non accadeva da tempo.

Le due sedi sono quelle deputate alle emozioni e al meccanismo di ricompensa e nell’amigdala, il centro di integrazione dei processi neurologici superiori delle emozioni, coinvolta anche nella memoria emozionale. Questa zona dell’encefalo è anche attiva nel sistema di comparazione delle esperienze passate e nell’elaborazione degli stimoli olfattivi.

Il primo chip è stato in grado di “spegnere” gli stimoli nervosi che conducevano alla depressione, il secondo a “predire” quanto i sintomi si manifesteranno. Questo pacemaker da cervello non produce una stimolazione continua, ma è programmato per rilasciare uno stimolo ogni tot secondi e ogni volta in cui rileva un’attività elettrica legata alla depressione.

Per un informatico come me, leggere delle applicazioni in campo medico del mio lavoro mi riempie di orgoglio e di propositività verso le future ed infinite applicazioni che l’unione di questi due ambiti può produrre.

Cosa sono le AMP e perché sono utili?

Cosa sono le AMP e perché sono utili?

 

L’ importanza della velocità del sito internet

 

Gli studi di usabilità ci dicono che il tempo di caricamento delle pagine web è fondamentale per qualsiasi sito internet, infatti l’utente è sempre meno disposto ad attendere. Il tempo di caricamento di una pagina causa un vero e proprio stress a chi naviga.

Un tempo di apertura di un sito superiore ai 5 secondi può comportare un tasso di abbandono pari al 90%. Pare che, sociologicamente parlando, i tempi di attesa incidano sulla fiducia percepita del brand e sull’affidabilità del sito.  

Mi fai attendere? Non sei un sito serio.

Esistono dei metodi accurati per accelerare il tuo sito e delle linee guida per aumentare la velocità di caricamento delle tue pagine web.

Ad esempio, scegliere l’hosting giusto, utilizzare un cms snello, ridurre le dimensioni delle immagini, snellire il codice css e javascript, utilizzare una grafica minimale, evitare l’ inserimento di file pesanti…

Una soluzione di recente introduzione da parte di Google sono le AMP. 

Cosa sono le AMP o Accelerated Mobile Pages? 

 

Le cosiddette Google AMP sono pagine scritte con un linguaggio html variato e promosso da Google, il quale permette di velocizzare le pagine web da mobile. Sostanzialmente vengono snellite eliminando degli elementi estetici e strutturali di secondo livello, mantenendo l’essenziale.

Anche un semplice utente può riconoscere una pagina AMP grazie all’ icona del fulmine vicino alle notizie.

 

Soprattutto per chi scrive notizie è molto utile avere una pagina snella dal facile caricamento, infatti Google da un lato la digerirà meglio e la posizionerà quindi più in alto rispetto ad altre pagine con la medesima notizia, e dall’altro lato il lettore sarà meno tentato di abbandonare la pagina se essa si carica immediatamente all’apertura.

Per riassumere, capiamo dunque perché è così importante proporre un’AMP all’ esperienza utente:

  1. Google la premia rispetto a quelle del tuo concorrente posizionandola più in alto.
  2. La tua audience non abbandonerà il sito internet

Oltre ai siti di notizie, l’utilizzo delle AMP è consigliato per gli e-commerce e per le homepage dei siti internet, solitamente più ricche di informazioni e contenuti.

Sicuramente l’uso di questa tecnologia necessita di uno sforzo per lo sviluppo delle pagine nel linguaggio HTML diversificato, quindi è necessario scegliere con cautela e buonsenso dove effettuare tali modifiche.

 

Il tuo sito è lento? Vuoi sapere come velocizzare il tuo sito? Una consulenza da una web agency specializzata è quello cheti serve, per avere maggiori informazioni, Contattaci.

Grazia Angela Cuomo

Grazia Angela Cuomo

Digital Strategist

Dott.ssa in Scienze della Comunicazione e dell’ Informazione, continua la sua formazione con un Master in Digital and Social Media Marketing. Appassionata di business, e-commerce e tecnologia.

Dal 1995 siamo al fianco di professionisti e imprese.
Negli anni IPSNet è diventato un marchio sinonimo di competenza e professionalità per assistere il cliente e orientarlo nel mondo della rete, sempre più difficile e ricco di opportunità, ma anche di insidie. Cloud Provider, soluzioni per le reti informatiche e la sicurezza dei dati nelle aziende sono, ad oggi, il nostro quotidiano impegno per centinaia di clienti che, da oltre 20 anni, ci affidano la propria informatizzazione digitale.

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Marketing Funnel semplice: cos’è e come si struttura?

Marketing Funnel semplice: cos’è e come si struttura?

 Il funnel marketing è la descrizione dell’iter che compie  un consumatore per giungere all’ acquisto di un bene. Per descrivere al meglio questo percorso (detto customer journey) si è presa a modello un’infografica ad imbuto che ben si presta ad illustrare visivamente il processo.

Questo modello di “marketing ad imbuto” descrive anche l’insieme delle tecniche di marketing e di comunicazione atte a portare un consumatore a tale scelta.

Negli ultimi decenni, come conseguenza della digitalizzazione, il percorso di acquisto è diventato sempre più frastagliato, disomogeneo e ricco di canali (detti touchpoint) per raggiungere i propri potenziali clienti. Dopo la tv, la radio e i giornali si è arrivati ben presto a internet, blog e social network. 

Descrizione del funnel marketing

   1. Parte superiore dell’imbuto, Top of Funnel (TOFU)

Obiettivo: creare awareness

In questo momento il nostro consumatore si sta informando: legge articoli, ricerca attivamente su un motore di ricerca un prodotto che desidererebbe, cerca consigli, naviga sui social alla ricerca di ispirazione. Si trova nella cosiddetta fase dell’infocommerce.

Conosciamo i suoi interessi e possiamo sfruttare queste informazioni per creare awareness, ossia farci conoscere come azienda e come brand tramite SEO, SEM, Social Media Marketing… etc.

In questa fase l’utente non è ancora pronto a comprare, è quindi inutile proporre grandi sconti a breve scadenza, meglio puntare sul raccontarsi nel modo corretto e fornire informazioni davvero utili all’ utente.

2. Parte mediana dell’imbuto, Middle of Funnel (MOFU)

Obiettivo: creare considerazione.

In questa fase il consumatore sta intensificando le sue conoscenze dopo aver compiuto una serie di ricerche. È il momento in cui desidera approfondire maggiormente, ha identificato che tipo di prodotto o servizio è più adatto a risolvere il suo problema, ma deve ancora scegliere per davvero.

Sta valutando l’affidabilità dei vari brand e tramite recensioni e passaparola, sta cercando di farsi un’idea di prezzo e qualità desiderati. È necessario rassicurare l’utente il più possibile circa l’affidabilità del nostro prodotto o servizio offrendo lui tutte le informazioni di cui ha bisogno.

Retargeting: nel Mofu, è buona norma continuare a farci vedere dal nostro utente una volta che questo è venuto a contatto con noi una volta. Sarà possibile tramite la pubblicità display e i social network, oppure tramite e-mail marketing se ha lasciato un suo contatto.

 

 

3. Parte terminale dell’imbuto, Bottom of Funnel (BOFU)

Obiettivo: convertire.

Il nostro utente è finalmente pronto a diventare cliente e quindi a compiere il suo acquisto. È il momento di proporre qualche promozione last minute o ad esaurimento scorte, oppure qualche free-trial.

Si tratta di una fase delicata: occorre rassicurare l’utente sulla sicurezza del pagamento e rendere sempre le operazioni di cassa o di accettazione preventivo il più semplici e chiare possibile.

Convertire non è la fine del funnel, infatti bisogna ricordarsi di offrire una buona assistenza post-vendita e avere una strategia di follow up per comunicare con i clienti che hanno già convertito una volta.

 

Attivare un piano di marketing e comunicazione ben strutturato è tanto fondamentale per le tue vendite o per le tue lead quanto complesso. Affidarsi ad un partner di settore potrebbe essere la scelta vincente.  Contattaci!

Grazia Angela Cuomo

Grazia Angela Cuomo

Digital Strategist

Dott.ssa in Scienze della Comunicazione e dell’ Informazione, si specializza nel digitale con un master in Digital & Social Media Marketing. Appassionata di business, e-commerce e tecnologia.

Dal 1995 siamo al fianco di professionisti e imprese.
Negli anni IPSNet è diventato un marchio sinonimo di competenza e professionalità per assistere il cliente e orientarlo nel mondo della rete, sempre più difficile e ricco di opportunità, ma anche di insidie. Cloud Provider, soluzioni per le reti informatiche e la sicurezza dei dati nelle aziende sono, ad oggi, il nostro quotidiano impegno per centinaia di clienti che, da oltre 20 anni, ci affidano la propria informatizzazione digitale.

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10 consigli per scegliere un dominio internet efficace

Vuoi avviare il tuo sito internet? Sia che si tratti di un sito vetrina, un blog o un e-commerce uno degli aspetti da considerare è il dominio.

La scelta del nome del dominio web è paragonabile alla scelta del nome della propria azienda e richiede un’attenta valutazione per dare rilevanza ai giusti aspetti.

Il tuo dominio equivale alla tua identità sul web e non solo deve rappresentare la tua idea di business ma deve anche essere facile da ricercare e promuovere.

Ecco 10 consigli pratici per scegliere il dominio migliore per il proprio sito web o del proprio blog.

1. Assicurati che sia semplice da scrivere.


2. Scegli un dominio corto o composto da poche parole.


3. Includi le parole chiave.


4. Identifica il tuo settore di riferimento.


5. Evita di utilizzare trattini e numeri.


6. Scegli un nome facile da ricordare.


7. Usa un’estensione appropriata al tipo di attività.


8. Proteggi e costruisci il tuo brand
.

9. Verifica l’autorevolezza del dominio.

10. Richiedi l’auto-rinnovo.

1. Assicurati che sia facile da scrivere.

Per avere successo online è fondamentale trovare un nome semplice, facile da digitare e da memorizzare. É sconsigliabile, per esempio, utilizzare parole in gergo o abbreviazioni, che possono rendere la ricerca da parte degli utenti meno efficace.

I domini registrati online sono milioni, per cui è essenziale sceglierne uno semplice e riconoscibile, in modo da non generare confusione e condurre senza dubbio alla vostra attività.

2. Scegli un dominio corto o composto da poche parole.


Se il dominio risulta essere lungo e complesso rischi che la tua utenza di riferimento lo scriva o lo pronunci male e non riesca a trovarti facilmente sull web. 

Essenzialmente puoi muoverti in due direzioni:

  • utilizzare il nome del brand (per esempio ipsnet.it);
  • utilizzare il nome dei servizi che offri (per esempio webagencytorino.it).

3. Includi le parole chiave.

Cerca di usare parole chiave che descrivano la tua attività e i servizi che offri. Per esempio, se gestisci un ristorante vegano potresti scegliere sceltavegana.it o ristorantevegano.it.

Le parole chiave o keyword aiutano a migliorare la tua posizione nei motori di ricerca, portando ad una crescita del traffico sul tuo sito, che può eventualmente trasformarsi in nuovi contatti.

Per questo motivo è consigliabile includere keywords che le persone tenderanno a scrivere ricercando i tuoi prodotti o servizi. 

4. Identifica il tuo settore di riferimento.


Innanzitutto è molto di aiuto definire se gestisci un’attività a livello nazionale o internazionale e in quale lingua sarà il tuo sito.

Questa informazione ti potrà guidare nella scelta dell’estensione del dominio: per un sito italiano per un business che opera prevalentemente in Italia potremo scegliere .it. Nel caso invece del sito multilingua di un’attività internazionale, è consigliabile scegliere .com.

Nel caso di attività a livello locale, inoltre, si può considerare di includere nel dominio il nome della città o dello stato in cui si opera, al fine di semplificarne la memorizzazione e la ricerca ai clienti interessati. Per esempio: scootertorino.it.

5. Evita di utilizzare trattini e numeri.


Numeri e trattini possono causare confusione. Per esempio i domini che includono numeri potrebbero generare fraintendimenti perchè gli utenti non sanno se si tratti del numero arabo o del numero scritto per esteso. 

Nel caso in cui il numero sia parte del tuo brand, per esempio “Osteria 9”, è buona prassi registrare entrambi i domini osteria9.it e osterianove.it, in modo da indirizzare sempre l’utente sul sito giusto.

6. Scegli un nome facile da ricordare.


Per rimanere impresso un dominio deve essere semplice e accattivante.

Ricorda di verificare che il dominio che ti interessa non sia riconducibile ad alcun marchio registrato o tutelato da copyright (è sufficiente una veloce ricerca su internet per accertarsene).

7. Usa un’estensione appropriata al tipo di attività.


Per estensioni intendiamo i domini di primo livello, ossia i suffissi alla fine dell’indirizzo web: .it, .com. net…

Alcuni domini di primo livello hanno utilizzi specifici e andrebbero utilizzati solamente se si rientra nelle categorie di attività ad essi correlate. Per esempio: .coop per le cooperative, .pro per i professionisti in determinati settori e stati, .travel per attività correlate al turismo.

Il dominio .com è sicuramente il più popolare e diffuso, ma potrebbe essere più difficile trovare un dominio .com corto e memorabile visto che questa estensione viene usata da molto tempo. Alcune estensioni alternative che possono essere considerate per rendere il proprio dominio riconoscibile sono:

•.co: abbreviazione per compagnia, commercio e comunità;

•.info: siti di informazione;

•.net: siti tecnici, infrastrutture elettroniche;

•.org: organizzazioni non commerciali e no-profit;

•.biz: business o usi commerciali, come siti di e-commerce;

•.me: blog, diari o pagine personali.

Ovviamente non sarà necessario creare il sito su ognuno dei domini che acquisti, sarà sufficiente chiedere al tuo provider di creare dei reindirizzamenti verso l’URL principale.

8. Tutela il tuo brand


Per tutelare il tuo brand, è consigliabile acquistare diverse estensioni di dominio. Ciò ti consentirà di far atterrare gli utenti sul tuo sito web anche se hanno sbagliato estensione o a scrivere un numero, per esempio e di non cadere vittima di competitor che cercando di reindirizzare i clienti in comune sulle proprie pagine web.

9. Verifica l’autorevolezza del dominio

Hai trovato il dominio perfetto per te, ha verificato che non fosse collegato ad alcun marchio e vuoi registrarlo? STOP! C’è ancora uno step da considerare: il passato di quel dominio.

Il fatto che un dominio ora sia libero, non significa che non sia stato registrato in passato. É pertanto fondamentale verificare l’autorevolezza di un dominio, valutando alcuni elementi come il contesto del sito precedente e eventuali penalizzazione passate perchè tutto questo potrebbe rivalersi sul vostro sito web. 

Un esperto in web marketing può aiutarti a valutare tutti gli aspetti correlati a SEO e SERP prima di acquistare un dominio e avviare un sito web. 

10. Richiedi l’auto-rinnovo

 Qual è la cosa peggiore che può succedere una volta trovato il dominio perfetto per il tuo business? Che ti venga rubato! Per questo motivo è importante chiedere al tuo providere l’attivazione dell’opzione di autorinnovo, in modo da essere certo di non perdere mai il tuo posto sul web!

IPSNet è Managed Services Provider e la gamma di servizi proposti vi è anche la gestione domini:

• registrazione e manutenzione domini internet
;

• gestione DNS primario e secondario, creazione di infiniti domini di terzo livello
;

• mail Server Certificati e Caselle di Posta Elettronica Certificata (PEC)
;

• pratiche di voltura e trasferimento
;

• monitoraggio dei servizi e garanzia di efficienza H24.


Vuoi affidarti a un team di esperti per la gestione e la manutenzione del tuo dominio? Contattaci.

Dal 1995 siamo al fianco di professionisti e imprese.
Negli anni IPSNet è diventato un marchio sinonimo di competenza e professionalità per assistere il cliente e orientarlo nel mondo della rete, sempre più difficile e ricco di opportunità, ma anche di insidie. Cloud Provider, soluzioni per le reti informatiche e la sicurezza dei dati nelle aziende sono, ad oggi, il nostro quotidiano impegno per centinaia di clienti che, da oltre 20 anni, ci affidano la propria informatizzazione digitale.

Hai bisogno di maggiori informazioni?
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2 Maggio 2019: World Password Day

L’evoluzione della sicurezza digitale

Oggi, 2 maggio 2019, cade il World Password Day, una giornata dedicata a tematiche inerenti alla sicurezza digitale che viene celebrata ogni primo giovedì del mese dal 2013, grazie all’iniziativa della Intel Security.

A ispirare la fondazione del World Password Day fu, in maniera inconsapevole, Mark Burnett, ricercatore sulla sicurezza digitale, che nel suo libro Perfect Password” del 2005 incoraggia gli utenti ad instituire un “password day”, ossia una giornata da dedicare all’ aggiornamento delle proprie password personali.

La giornata ha lo scopo di creare una sempre maggiore consapevolezza delle necessità di una buona sicurezza digitale, a partire dall’ uso di password sicure per arrivare ad una serie di indicazioni sui comportamenti da attuare per evitare frodi informatiche.

L’indagine della Nuance Communications

In occasione della Giornata Mondiale delle Password di quest’anno, l’azienda Nuance Communicationsmultinazionalepioniera e leader nell’ambito dell’AI conversazionale, ha condotto uno studio a livello europeo. Lo scopo era scoprire come gli utenti percepiscono l’uso di nuove tecnologie nell’ambito della digital security, in confronto alle password tradizionali e indagare le potenzialità delle nuove tecnologie progettate per salvaguardare i dati e ridurre le frodi informatiche.

L’ indagine ha rilevato che ogni utente gestisce in media undici account online (tra cui email, servizi bancari, piattaforme per acquisti online o per la fatturazione, siti web di intrattenimento, ecc.) e per accedervi deve ricordare circa nove password differenti. A fronte di questi dati, emerge che una persona su quattro dimentica queste password almeno una volta al mese. Il 28% dei campioni infatti, contatta il servizio clienti ogni tre mesi per reimpostare le credenziali di accesso. Negli Stati Uniti, addirittura, un consumatore su dieci effettua questa chiamata più di una volta a settimana.

Negli ultimi dodici mesi un cittadino su quattro, con accesso a servizi telematici, su scala globale, è stato vittima di frodi informatiche. Circa il 25% della popolazione digitale ha perso in media 2.000 dollari a causa della scarsa protezione del proprio, o dei propri, account. Gli utenti negli Stati Uniti sono stati i più colpiti con quasi il 40% dei consumatori vittime di una frode nell’ ultimo anno.

Il 62% dei consumatori intervistati ha dichiarato qualora cadesse vittima di frodi informatiche cambierebbero immediatamente fornitori di servizi, tuttavia, a risprova della necessità di diffondere cultura in ambito inforatico, il 27% delle vittime non ha modificato le password dei propri account in seguito ad attività fraudolente, lasciandole esposte a ulteriori attività criminali, come accade negli attacchi di Account Takeover (ATO).

Più sicurezza con i dati biometrici

A seguito del cresecente aumento delle violazioni, sempre più organizzazioni stanno implementando la biometria per consentire ai clienti di convalidare la propria identità e accedere ai servizi in modo più semplice e sicuro.

Oltre 400 milioni di consumatori in tutto il mondo generano già più di otto miliardi di autenticazioni biometriche con successo ogni anno.

La password tradizionali sembrano quindi generare frustazione nei consumatori, che si sentono sempre più a proprio agio ad utilizzare la biometria che consente l’autenticazione degli individui in base a caratteristiche fisiche e comportamentali. Quasi un intervistato su tre utilizza già la tecnologia biometrica, come impronte digitali o biometria facciale, molte volte al giorno, per sbloccare, ad esempio il proprio smartphone. 

Come proteggersi nell’utilizzo delle password tradizionali 

I cyberattacchi e i furti d’identità sono sempre più diffusi e sofisticati, è pertanto fondamentale tenere conto di alcuni accorgimenti per rendere il più sicure possibili le proprie password tradizionali e tutelare i propri dati online.

  • Creare per ogni account una password unica, sia che si tratti dell’account della banca o dei social media.
  • Ogni password dovrebbe inoltre essere sufficientemente complessa e “forte”, e quindi difficile da comporre automaticamente con numeri, lettere maiuscole, se possibile caratteri speciali e combinazioni non lineari.
  • Utilizzare un password manager per gestire le varie password, senza perderne traccia.
  • Prestare attenzione alle novità riguardo breach, buchi e furti di password e intervenire immediatamente per modificare quelle più semplici o vulnerabili. Come si dice, better safe than sorry!

Un utilizzo consapevole della rete, inoltre, è la chiave per prevenire situazioni spiacevoli. Ecco alcuni consigli:

  • Usare procedure a due fattori di autenticazione, per esempio con token o codici via sms.
  • Utilizzare una Vpn (Virtual private network) specialmente sulle Wi-Fi pubbliche e aperte.
  • Non sottovalutare l’entità del potenziale pericolo e fare propri atteggiamenti preventivi e consapevoli come non divulgare via chat le password, selezionare opzioni e domande di recupero difficili da indovinare e a cui solo l’utente possa rispondere.

Come celebrare il World Password Day

Il World Password Day, come da tradizione americana, è sempre più orientato a diventare una vera e propria festività digitale, caratterizzato da propri riti e usanze.

Ecco, quindi, come celebrare la Giornata Mondiale delle Password:

  • visitare il sito PasswordDay.org dove è possibile visionare e leggere molte informazioni inerenti al buon comportamento in ambito di sicurezza digitale;
  • condividere sui social media suggerimenti riguardo al buon uso delle password;
  • cambiare le password vecchie con nuove e più sicure o attivare l’autenticazione a due fattori per gli account più importanti.

In IPSNet crediamo fermamente nella necessità di un utilizzo consapevole e informato della rete, per questo ogni giorno forniamo assistenza ai nostri clienti riguardo questioni di sicurezza informatica, suggerendo soluzioni da adottare per non cadere vittima di frodi online e per recuperare i dati in caso di necessità. Hai bisogno di consulenza relativamente alla cyber security? Invia una mail a info@ipsnet.it o compila il form sul nostro sito web per saperne di più.

Claudio Martini

Claudio Martini

Information Technology Project Manager

Systems Advisor e Chief Information Security Officer. Esperto in configurazione, gestione e manutenzione di reti, infrastrutture IT, server, firewall e soluzioni di business continuity. 

Dal 1995 siamo al fianco di professionisti e imprese.
Negli anni IPSNet è diventato un marchio sinonimo di competenza e professionalità per assistere il cliente e orientarlo nel mondo della rete, sempre più difficile e ricco di opportunità, ma anche di insidie. Cloud Provider, soluzioni per le reti informatiche e la sicurezza dei dati nelle aziende sono, ad oggi, il nostro quotidiano impegno per centinaia di clienti che, da oltre 20 anni, ci affidano la propria informatizzazione digitale.

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HTTPS: cos’è e perché è importante per il tuo ranking online

 A partire da luglio 2018 Google Chrome segnala come non sicuri tutti i siti che usano ancora il protocollo HTTP, con l’obiettivo di spingere ulteriormente verso l’utilizzo del protocollo criptato HTTPS. Attualmente il browser, nel caso di utilizzo del protocollo HTTPS, affianca all’indirizzo un lucchetto chiuso verde e la scritta “Sicuro”. Quando invece viene usato il normale HTTP compare una “i” cerchiata, affiancata la scritta “Non sicuro”. 

Google Chrome: HTTP vs HTTPS

Protocollo HTTPS e i certificati SSL: di cosa si tratta?

SSL vuol dire “Secure Sockets Layer” (Livello di socket sicuri), una tecnologia standard che garantisce la sicurezza di una connessione a Internet e protegge i dati sensibili scambiati fra due sistemi impedendo ai criminali informatici di leggere e modificare le informazioni trasferite, che potrebbero comprendere anche dati personali. Queste informazioni possono essere di natura sensibile o personale, come ad esempio numeri di carta di credito, altre informazioni finanziarie, nomi e indirizzi.

HTTPS (Hyper Text Transfer Protocol Secure, Protocollo di trasferimento ipertestuale sicuro) è una dicitura visualizzata negli URL di un sito Web protetto con un certificato SSL. Facendo clic sul simbolo del lucchetto nella barra del browser, è possibile visualizzare i dettagli del certificato, compresa l’autorità di emissione e il nome aziendale del proprietario del sito Web.

Il protocollo HTTPS utilizza i certificati SSL (Secure Sockets Layer) che consentono di stabilire una comunicazione sicura dalla sorgente al destinatario (end-to-end), criptando il flusso di informazioni che vengono raccolte dal sito web e fornendo autenticazione, integrità dei dati e confidenzialità. 

Grazie ai certificati SSL è possibile per gli utenti avere la certezza che il server a cui ci si connette è autentico.

HTTP vs HTTPS

Fonte immagine: www.theplusit.ro

Perché passare da HTTP a HTTPS?

I siti web che non utilizzano il protocollo HTTPS e i certificati SSL vengono penalizzati da Google per quanto riguarda la loro indicizzazione, conviene dunque correre ai ripari per preservare il proprio ranking. Effettuare il passaggio dal protocollo HTTP a HTTPS di un sito web è un’operazione necessaria per evitare di essere penalizzati da Google e mantenere il proprio posizionamento nella SERP (Search Engine Results Page) del motore di ricerca.

Attualmente circa il 70 % dei siti web utilizza il protocollo di trasmissione dati HTTP che, da dicembre 2016, non rispetta più gli standard di sicurezza richiesti da Google, che impone di massimizzare la sicurezza di qualunque trasmissione dati.

Le tipologie di siti web maggiormente sollecitati a effettuare il passaggio al protocollo HTTPS sono prevalentemente siti di e-commerce, portali che prevedono transazioni in denaro e siti con un modulo di contatto (contact form). Più in generale, qualsiasi sito web che gestisce delle trasmissioni dati senza utilizzare il protocollo HTTPS verrà segnalato da Google come sito non sicuro e subirà delle penalizzazioni dal punto di vista del posizionamento.

La penalizzazione nel ranking coinvolgerà anche i siti ottimizzati dal punto di vista SEO (search engine optimization) che, in questo modo, rischieranno di perdere progressivamente la visibilità fino a quel momento ottenuta.

Come agisce Google nei confronti dei siti che utilizzano ancora http?

Google segnalerà il sito in esame attraverso tre tipi di marchiatura differenti a seconda delle diverse situazioni:

  • un avviso che comparirà nei risultati di ricerca, in cui informerà l’utente che il sito “non rispetta i termini di sicurezza”;
  • un’icona a forma di lucchetto e una linea rossa applicata sopra, che comparirà nella barra dell’indirizzo del browser prima dell’URL del sito;
  • una videata a tutto schermo in cui comparirà un lucchetto di colore rosso che inviterà gli utenti a non proseguire con la navigazione, poiché la connessione dati non è privata.

Tutte queste penalizzazioni porteranno il sito in questione a essere considerato come inaffidabile, con conseguente calo degli accessi. Nel caso di siti e-commerce tale marchiatura potrebbe generare perdita di potenziali clienti e di fatturato, allarmati dal fatto di dover eseguire delle transizioni di pagamento su piattaforme che Google non considera sicure.

Google Chrome: connessione non sicura

Fonte immagine: www.support.apple.com

Quali sono i vantaggi per i siti con protocollo HTTPS?

I siti web che attivano un protocollo HTTPS tramite certificati SSL possono ottenere i seguenti vantaggi:

  • miglioramento del ranking: benefici sul posizionamento nella SERP (Search Engine Results Page) di Google, con conseguente aumento della visibilità e degli accessi;
  • sicurezza dei dati in termini di
    • autenticità: i dati ricevuti dal sito web sono affidabili;
    • integrità: i dati non hanno subito alterazioni durante il trasferimento;
    • crittografia: in caso di intercettazione dei dati, gli stessi non sono leggibili;
  •  affidabilità: gli utenti che vedono il lucchetto verde nella barra dell’indirizzo del browser hanno una maggiore fiducia nei confronti del sito.

Il passaggio da HTTP a HTTPS implica una migrazione del sito e va condotta con professionalità e competenza, in modo da non rischiare di veder vanificati i risultati e il ranking raggiunti. Consigliamo quindi di rivolgersi a un esperto per effettuare quest’operazione in maniera ottimale.

Vuoi effettuare il passaggio da http a https in modo sicuro? Hai bisogno di una consulenza professionale?Contattaci, il nostro team di esperti è pronto a fornirti supporto professionale per l’attualizzazione della procedura.

Giorgio Bagnasco

Giorgio Bagnasco

Managed Services Specialist

Dottore in Matematica Informatica, originariamente sviluppatore di applicazioni Web, amministratore di database e project manager in una vasta gamma di applicazioni aziendali. Oggi specializzato in IT Management e System Integration, problem solving, progettazione e gestione di reti informatiche, ottimizzazione di sistemi informativi aziendali

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