La definizione di salute è contenuta nella costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ed  è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità. Ma il benessere non è solo quello psico-fisico della “mens sana in corpore sano”, nell’era dell’informatizzazione spinta, come è quella che stiamo vivendo, ritengo si debba parlare di “benessere organizzativo”; rubo l’espressione al professore di psicologia del lavoro Francesco Avallone, che lo definisce: “Il benessere organizzativo si riferisce alla capacità di un’organizzazione di promuovere e di mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione”. Mi aggancio a questa sua affermazione per parlare di individuazione di nuove strade e di soluzioni tecnologiche originali, a supporto del benessere organizzativo in ambito lavorativo.

Non sono originale nel dire come la pandemia abbia aumentato lo stress, l’ansia e il rischio di burnout sul posto di lavoro ovunque nel mondo, ma provo a pensare a come i “bot” potenziati dall’intelligenza artificiale invece delle sole persone, possano aiutare in questo senso.

È palese a tutti come molti trovino il lavoro da remoto più interessante ora, rispetto a prima della pandemia, perché hanno più tempo da trascorrere con la famiglia, perché possono riposare organizzando le incombenze e perché non hanno perdite di tempo e costi per raggiungere il luogo fisico dove svolgere il proprio compito, ma la scelta non è priva di controindicazioni.

Tutti abbiamo sentito più stanchezza e ansia sul lavoro quest’anno, rispetto a qualsiasi altro anno precedente e questo ha prodotto un impatto negativo sul benessere psicologico nella stragrande maggioranza della forza lavoro globale, causando più stress, sottolineando la mancanza di equilibrio tra lavoro e vita privata, andando incontro a sgradevoli burnout, a depressione per assenza di socializzazione e non sottovalutiamolo, solitudine. Le nuove pressioni subite a causa della situazione pandemica prima e della instabilità politica mondiale ora, si sovrappongono ai fattori di stress abituali legati al lavoro, tra cui la pressione per raggiungere i risultati, la gestione di attività noiose e di routine e il dover affrontare carichi di lavoro sentiti come ingestibili.

La mancanza di benessere al lavoro non compromette solo la vita professionale ma anche quella privata, sulla quale si genera una inevitabile ricaduta. La maggioranza dei lavoratori di certo pensa che i problemi di salute mentale e benessere psicofisico legati al lavoro (ad esempio stress, ansia e depressione) si riflettano su ogni aspetto del quotidiano. Sento sempre più spesso parlare tra i miei collaboratori e conoscenti di insonnia, cattiva salute fisica, riduzione della serenità domestica, con conseguente sofferenza nei rapporti familiari e scarsa frequentazione degli amici, anche perché molti di questi legati al lavoro in presenza. Per questi motivi ritengo che il datore di lavoro debba offrire maggiore supporto alla salute mentale dei collaboratori. Le conseguenze della crescita di ansia e stress da lavoro possono essere alleggerite con gli strumenti tecnologici a supporto del benessere organizzativo e della salute.

Penso ad esempio a servizi di accesso self-service alle risorse sanitarie, a servizi di consulenza su richiesta, a strumenti di monitoraggio della salute, all’accesso ad app per il benessere o la meditazione e chatbot per rispondere velocemente a domande relative a questi argomenti. Ho recentemente letto un’indagine svolta sui lavoratori da cui è emerso come questi preferirebbero parlare dello stress e dell’ansia con un robot piuttosto che con il proprio manager e l’80% di loro è propensa ad utilizzarlo come consulente o terapeuta. Questo perché le persone ritengono che l’Intelligenza Artificiale possa creare una “free zone”, una “zona priva di giudizio”, caratteristico di una mente umana e difficilmente eliminabile, che possa essere un interlocutore imparziale e che possa fornire risposte rapide su domande specifiche relative alla propria salute mentale, senza lasciare tracce sul curriculum lavorativo del dipendente o del collaboratore.

Ritengo che si debba lavorare in questo senso, perché un collaboratore soddisfatto e in buona salute è l’interlocutore ideale dell’imprenditore.

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