Donne e byte
L’11 febbraio si celebra la giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, nelle cosiddette STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematic), che ancora oggi, seppure preparate, qualificate e di talento ancora troppo poche le donne nel mondo dell’informatica e delle discipline scientifiche-tecnologiche, perché ancora imprigionate nello stereotipo del “le donne in quegli ambiti non sono portate”. Purtroppo si tratta di un luogo comune talmente diffuso, da essere il discriminante su cui si basa ancora oggi la selezione nel mercato del lavoro. Io lo ritengo un vero e proprio pregiudizio, poiché nella mia esperienza ho incontrato donne bravissime nell’ambito informatico; il vero problema è che ce ne sono poche. Purtroppo il 44% dei reclutatori in Italia ritiene gli uomini più portati nelle materie tecnico scientifiche e le donne in quelle umanistiche; a supporto di questa affermazione arrivano i dati europei, che evidenziano come nel settore ICT solo due impieghi su dieci siano occupati dalle donne. In Italia ad aggravare la situazione si aggiunge il fatto che le ragazze che scelgono di lavorare nel settore, anche se spesso più preparate dei colleghi uomini, hanno meno opportunità lavorative e retribuzioni più basse. Le statistiche pubblicate nel 2021 su dati del 2020, disegnano una realtà molto frammentata nella quale le donne, pur costituendo la maggior parte dei neo-laureati con il 58,7%, stentano ancora a seguire percorsi di studio scientifici; il rapporto nelle facoltà tecnologico-informatiche infatti è del 14,3%, ovvero di una donna ogni sei uomini. Per contro, osservando le facoltà umanistiche, le donne sono in superiorità numerica, arrivando fino al 92,8% nelle facoltà legate all’educazione e alla formazione.
Sicuramente gli stereotipi hanno origini culturali e l’unico modo per scardinarli è partire dall’educazione famigliare e scolastica, in cui occorre cambiare il linguaggio utilizzato e i libri di testo dove ancora oggi, sin dalle elementari, si propone l’immagine dell’uomo che lavora, magari fa l’astronauta e la donna spesso casalinga o al massimo che fa la parrucchiera o l’infermiera. È necessario un cambio nei modelli di riferimento per le bambine e le ragazze, affinché possano costruire un’immagine di sé che le faccia sentire capaci di intraprendere ogni tipo di carriera. Le donne di oggi hanno avuto delle loro antesignane, figure femminili pionieristiche che hanno dato il loro contribuito all’informatica, in tempi certo meno facili.
Nei primi dell’800 visse ed operò Ada Lovelace, il cui nome reale era Augusta Ada Byron, figlia del poeta e della matematica Anne Isabella Milbanke ; a questa giovane britannica si deve lo sviluppo nel 1843di quello che a pieno diritto viene considerato il primo software. Ada Lovelace incontrò in molte occasioni Charles Babbage, insigne matematico e teorizzatore della macchina analitica; la fanciulla rimase affascinata dalle sue teorie e iniziò a studiare i metodi di calcolo realizzabili con la macchina differenziale. I suoi lavori le valsero il riconoscimento di prima programmatrice della storia, poiché Ada la descrisse come un computer dotato di software; la giovane studiò un algoritmo per calcolare i numeri di Bernoulli, metodo usato ancora oggi, seppure con le logiche debite evoluzioni.
Dopo Ada il salto temporale è ampio, dobbiamo infatti arrivare al primo dopoguerra quando i computer diventarono una realtà e furono le donne a scriverne i programmi. In seguito la programmazione passò al settore privato e le donne rimasero all’avanguardia e si occuparono dei lavori più importanti. L’informatica Grace Hopper, considerata la realizzatrice del primo “compilatore”, un metodo che permetteva di creare linguaggi di programmazione che si avvicinano alla parola scritta; creò anche il linguaggio flowmatic adatto ai non tecnici. In seguito partecipò alla creazione del linguaggio Cobol, che sarebbe diventato il più usato dalle aziende.
Negli anni ’50 Mary Allen Wilkes diventò una pioniera dell’informatica; nel 1961 la giovane scienziata venne scelta per creare il primo personal computer della storia, scrivendo il software che consentiva agli utenti di interagire con la macchina in tempo reale.
Negli anni ‘70 uno studio rivelò che il numero di donne e di uomini che si interessavano all’informatica era più o meno lo stesso, poi qualcosa di incomprensibile è accaduto e negli anni ‘80 le donne cominciarono ad essere estromesse dalla programmazione: il messaggio era che i computer erano per i maschi. Quest’atmosfera sessista ha alimentato la sociobiologia, secondo cui gli uomini sarebbero più adatti alla programmazione delle donne, perché la natura gli ha dato in maggiore quantità le qualità necessarie per primeggiare in quel campo.
Il risultato di questo pensiero distorto è un mondo nel settore ICT dominato dai maschi più di un tempo e più di qualsiasi altro settore. Io non sono assolutamente d’accordo con questa supremazia, mi piacerebbe vedere tante fanciulle dietro ai miei pc e con questo articolo voglio spronare le appartenenti al gentil sesso ad intraprendere la carriera di programmatore e sviluppatore, perché le innate doti femminili di precisione, dedizione e controllo sono preziosissime nel nostro settore. Dunque donne, non temete e affrontate con gioia e coraggio statistiche, numeri e stringhe di programmazione, sono certo che verrete apprezzate e scelte.
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