3D Big data in modern city. Abstract social information sorting visualization. Human connections or urban financial structure analysis. Complex geospatial data. Visual information complexity

Ci ha pensato anche questa volta un soggetto privato a prevedere il tutto e a conferire al Big Data l’ennesimo ruolo istituzionale.

Da oltre 30 anni mi occupo di reti, sistemi e web. Ciò nonostante riesco ancora a sorprendermi di quanta poca consapevolezza abbiano molte persone in merito all’uso quotidiano dei dispositivi telematici e dell’ormai imprescindibile protesi, lo smartphone, che ognuno di noi si porta appresso in ogni istante della giornata. La maggior parte degli utenti ne subisce passivamente le sempre più strabilianti funzioni, le mirabolanti app e gli innovativi strumenti di utilità per la qualsivoglia esigenza, dalla ricerca del ristorante preferito, al miglior percorso da scegliere per raggiungere la destinazione voluta, alla statistica su quanti passi sono stati compiuti nel corso della giornata, con relativa cartografia su mappa, corredata di latitudine e longitudine di ogni punto del globo terracqueo attraversato. Reti sempre più veloci, immagini e video sempre più definiti, comodi ed efficaci servizi a supporto della vita quotidiana, oggettivamente utili ed estremamente intuitivi, semplicissimi da utilizzare e quasi sempre, a volte inspiegabilmente, gratuiti.  Aggiornare costantemente server e sistemi operativi complessi, progettare e sviluppare app e piattaforme web interattive, visualizzare mappe cartografiche in 3D o video ad altissima definizione, non è mestiere banale. Richiede alte competenze, organigrammi efficienti, decine e centinaia di programmatori che per tutta la loro carriera dovranno costantemente apprendere, crescere, adeguarsi a nuovi linguaggi e nuove tecnologie. Parliamo di investimenti enormi, sia in termini di risorse hardware/software, sia in termini di risorse umane. Già da tempo si è capito che gli introiti pubblicitari, da soli, non possono sostenere tali costi, generare utili e rappresentare l’unico obiettivo di questa enorme industria telematica.

C’è sicuramente altro. E questo “altro” siamo noi.

I nostri dati, quello che cerchiamo su internet, quali sono le pagine dei quotidiani che apriamo ogni giorno sul browser, quali luoghi abbiamo visitato nell’ultimo mese o anno, quali immagini o video guardiamo, da chi e perché sono pubblicati e quale orientamento ideologico, politico o culturale sostengono.  I colossi internazionali del Big Data fanno a gara tra di loro a suon di app e servizi gratuiti perché hanno bisogno di accaparrarsi il maggior numero possibile di generatori seriali di “swipe&click”, vale a dire un esercito di utenti, su scala planetaria, che passino il maggior tempo possibile con gli occhi puntati sul display del proprio personal computer, tablet o smartphone e non possano fare a meno di “scorrere&selezionare“. Dito indice su un mouse e pollice opponibile su uno smartphone sono gli strumenti attraverso i quali partecipiamo inconsapevoli ad un sondaggio di opinione globale, attivo ventiquattro ore su ventiquattro, in tutto il mondo, in tutte le lingue, su qualsivoglia tema della vita di ognuno di noi: orientamento religioso, ideologico, sessuale, politico, interessi personali in merito a sport, tempo libero, enogastronomia, turismo, arte, spettacolo, shopping.

Diamo un nome: potremmo chiamarlo Il Grande Sondaggio.

Ha avuto inizio con l’avvento dei primi motori di ricerca su Internet e durerà per sempre, senza bisogno di costose infrastrutture sociali tradizionali per conquistarsi partecipanti e relative adesioni, farraginosi sistemi di calcolo delle preferenze, tempi di attesa per i risultati. Il Grande Sondaggio si cela nelle APP che usiamo. Gli exit poll, per i famigerati Istituti di Rilevamento, sono un processo  automatico, continuo, semplice. Ogni utente cessa di esprimere preferenze ogni sera prima di andare a dormire, per riprenderle la mattina seguente con le prime azioni che tutti svolgiamo appena svegli: Whatsapp, Facebook, le prime pagine dei quotidiani on line…. Privacy? Il primo collegamento Internet in Italia risale al 1986. Amazon è stata fondata nel 1994, Google nel 1998, Facebook nel 2004. Il regolamento generale per la protezione dei dati, risposta europea al dilagare del fenomeno della raccolta dei dati e relativo monopolio USA (Apple, Google, Microsoft) è entrato in vigore nel maggio del 2016, con attuazione solo due anni più tardi, il 24 maggio del 2018. Lascio a chi legge le considerazioni del caso.

l pubblico, ormai, aveva già aderito entusiasta al Grande Sondaggio su larga scala, a suon di App, Google Maps, IPhone, Itunes, ICloud e chi più ne ha più ne metta. Quarto trimestre del 2019: 1,2 miliardi di automobili circolanti nel mondo a fronte di 5,9 miliardi di persone in possesso di uno smartphone. Informativa sui cookies? Abbiamo a cuore la tua privacy? 5,9 miliardi di click su “ACCETTA E CONTINUA”. Fine del problema. Mai e poi mai rinuncerò a Instagram o a scegliere un paio di scarpe su Zalando. Al diavolo i cookies che tracciano tutto ciò che faccio sul web. È ormai conclamato il cronico ritardo temporale delle istituzioni, nazionali o internazionali, di qualsivoglia schieramento, rapportate alla velocità di pensiero dei grandi colossi privati e alle capacità di questi ultimi di osservare gli eventi, comprenderne i cambiamenti e i possibili impatti sulla vita economica, sociale e personale degli individui, offrendo in tempi rapidi servizi efficienti per rispondere alle nuove esigenze di ogni essere umano. 

Istituzioni, privacy e Big Data: situazione attuale

Una battaglia persa dalle istituzioni su larga scala mondiale. Non mi addentrerò in teorie complottiste di cui il web è già saturo, e mi limiterò pertanto a sperare che la sconfitta del pubblico rispetto al privato, anche questa volta, sia avvenuta in buona fede e unicamente per manifesta e diffusa incapacità di competere con la velocità di pensiero e di azione di Google e soci. Un esempio recente? Italia, emergenza Covid-19. Comitati Tecnici Scientifici, Task Force con esperti nell’ordine di 450 unità, commissari straordinari, unità di crisi mattino pomeriggio e sera. DPCM notturni con validità dal mattino successivo che, in tema di diritto all’istruzione, bisogno primario sancito dalla nostra costituzione e per il quale ci si aspetta adeguata risposta dall’Istituzione preposta (MIUR), risolvono il tutto con un semplice acronimo: DAD, didattica a distanza. Indicazione che fa il paio con quella inviata ai medici di base, in piena emergenza sanitaria, sull’obbligatorietà di adottare i necessari DPI durante le visite ai pazienti, salvo poi non fornirglieli.  Ma se nel caso di una mascherina in stoffa con elastici, € 0,50 di costo, in tempi brevi in qualche modo qualcosa ci si inventa, per una piattaforma multimediale di didattica a distanza e relativi protocolli di sicurezza, condivisione dati, videoconferenza, archiviazione di lezioni, compiti, test di valutazione on line e relativi voti, formazione di presidi, docenti, insegnanti e studenti sul corretto utilizzo della medesima, il discorso è leggermente diverso, sia in termini di tempi che di costi. Non si hanno notizie di piattaforme efficienti per la DAD commissionate dal MIUR alla velocità della luce, come invece avvenuto per la tanto chiacchierata APP “IMMUNI”. Il Registro Elettronico, negli istituti in cui è utilizzato, è ancora privo di funzioni efficaci e multimediali per video lezioni e affini. Ma niente paura. Ci ha pensato anche questa volta un soggetto privato a prevedere il tutto e a conferire al Big Data l’ennesimo ruolo istituzionale, questa volta di insegnante per i nostri figli, videoregistrandoli durante le lezioni nella propria cameretta, archiviandone compiti in classe ed esercitazioni e osservando se e quando riusciranno a recuperare quel 4 in matematica o inglese. Nel maggio 2014 Google ha investito qualche decina di milioni di dollari per realizzare la piattaforma G-Suite for Education, poi diventata Classroom con l’add-on MEET per le video lezioni. Tu guarda a volte le coincidenze. Dimenticavo. È gratis. E la stanno usando i nostri figli, inclusi i miei, per la DAD citata nei vari DPCM. Ho ricevuto l’altro ieri dalle rispettive direzioni didattiche l’informativa sulla privacy per l’utilizzo di GOOGLE CLASSROOM. Per assicurarmi che i miei figli potessero continuare a frequentare la scuola pubblica italiana in tempo di Covid e di DPCM ho cliccato su ACCETTA e CONTINUA…

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